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Sergio Bernal: un nuovo balletto su Yves Saint Laurent e molte apparizioni in Italia

Si comincia dal Gala Les Etoiles il 24 gennaio

Di Giuseppe Distefano 17/01/2020
Sergio Bernal: un nuovo balletto su Yves Saint Laurent e molte apparizioni in Italia
Sergio Bernal: un nuovo balletto su Yves Saint Laurent e molte apparizioni in Italia

Sergio Bernal, quali sono stati i riferimenti della sua formazione, e quali le tappe principali? È stata mia madre a spingermi, insieme al mio fratello gemello, a ballare già da piccolo. A otto anni sono entrato nel Conservatorio, terminato all’età di sedici. Da lì ho cominciato come ballerino professionista, soprattutto di danza spagnola e di flamenco. Erano le uniche forme che conoscevo. La classica l’ho scoperta negli anni del Conservatorio. All’inizio non mi piaceva. Ho capito l’importanza quando, con la tecnica e le lezioni, ho visto il mio corpo cambiare e ottenere altre cose incorporando nel flamenco un linguaggio diverso. A comprendere, per primo, che potevo essere anche un ballerino classico è stato un maestro del conservatorio spingendomi a studiare di più. La mia ispirazione è stata soprattutto Mikhail Baryshnikov: vedendo le sue prestazioni in video ero affascinato dalla personalità di ballerino e attore. Volevo essere come lui. Così ho deciso di dedicarmi completamente alla danza anche perché l'unica cosa che ho sempre fatto sin da piccolo è stato ballare, ballare, ballare.

Nella sua formazione c’è anche la danza contemporanea che ha sviluppato in seguito… La sento come l'evoluzione del balletto classico. Oltre a offrirmi un altro vocabolario e migliorare il corpo, mi permette di investigare nuovi movimenti. È questa per me la cosa più importante della danza contemporanea.

Lavorando con il Ballet Nacional de Españc’è una creazione del coreografo Antonio Ruiz al quale è particolarmente legato? Sì, è la sua versione di Elettra dove io interpreto Oreste. È un lavoro che rompe con tutti gli schemi della danza spagnola e permette di ricercare nuovi movimenti. Per me è stata una bella prova perché mi ha tolto da quella zona di comodità e sicurezza permettendomi di approfondire un linguaggio che prima non conoscevo. Lo spettacolo ha debuttato nel 2017 ma continua a essere rappresentato e girare. Il mio ruolo adesso è di un altro danzatore poiché ormai ho lasciato la Compagnia.

Parliamo di questa sua nuova tappa. È andato via per creare una sua compagnia e lavorare in modo indipendente… Ho lasciato il Ballet Nacional de España dopo sette intensi e bellissimi anni. L’ho sempre sentita, e continuo a sentirla, come casa mia. Con la nuova direzione ho deciso di prendere un cammino diverso per lavorare su un progetto che mi sta a cuore.

E sarebbe? Uno spettacolo sulla vita dello stilista Yves Saint Laurent. È un progetto che richiede moltissimo tempo, viaggi e contatti con la fondazione Saint Laurent per i diritti d’autore, dei costumi ma non solo. Si svolge tra Londra, Parigi e Spagna. Raccoglie molti sponsor, ma una parte è finanziata da me. Il debutto è previsto nel 2021. Quest'anno si comincerà a lavorare sulla coreografia che prevede oltre venti ballerini soprattutto donne, ballerine classiche, perché è importante far vedere gli abiti del marchio. Io interpreterò la parte di Saint Laurent. Stiamo progettando l'opera con Ricardo Cue, il coreografo con cui collaboro. Mi piacerebbe che lo spettacolo avesse vita lunga portandolo in tournée nel mondo e naturalmente in Italia, che è la culla del balletto classico e della moda. Non a caso, la Chief Executive di Saint Laurent, Francesca Bellettini, e il direttore creativo sono italiani.

Come le è venuta l’idea di uno spettacolo sulla vita dello stilista francese? Dico subito che raccontare una storia così importante m’incute timore. L'idea comunque mi è venuta tre anni fa dopo aver visto il film di Jalil Lespert. Mi sono innamorato di questa vicenda, drammatica ma anche bellissima per la genialità che Yves aveva. È stato il grandissimo stilista che tutti conosciamo, ma soprattutto una persona che ha rivoluzionato il mondo mettendo uomo e donna sullo stesso piano. Le ha tolto la gonna per metterle un pantalone. Ho condiviso subito l’idea con Ricardo Cue il quale mi ha appoggiato. Ci sono stati, poi, incontri e coincidenze che mi hanno confermato di dover andare avanti nel progetto nonostante il grosso impegno produttivo che richiede. Solo i costumi, per esempio, che sono più di sessanta, valgono moltissimi soldi. A breve dovremmo chiudere con i diritti dello spettacolo. Il marchio adesso appartiene a François-Henri Pinault, il marito dell'attrice Salma Hayek che è il presidente anche di Gucci, Bottega Veneta, Louis Vuitton, Dior, Chanel.

Che idea ha di come deve essere la sua compagnia? Deve possedere un linguaggio molto ampio. Io sono principalmente un ballerino di danza spagnola e flamenco, amo la danza classica e contemporanea, ma vorrei lavorare anche su altri stili. Ad esempio il tip tap, un po' come Fred Astaire.

La compagnia si chiama Sergio Bernal Ballet Español. Io sono il direttore artistico insieme a Ricardo Cue che porta tutta la sua professionalità e competenza acquisite negli anni di carriera accanto a grandi personalità, e fra queste Martha Graham. La sua grande esperienza insieme alla mia, piccola e ancor breve ma piena di passione, credo sia una bella miscela per portare avanti la compagnia. Penso inoltre quanto sia importante circondarsi di uno staff altamente professionale. Io sono principalmente un interprete, che quindi sta in scena, ma dietro di me devono esserci persone che mi appoggiano e mi aiutano a realizzare tutto questo.

A Roma, al Gala Les Etoiles all’Auditorium, porterà una sua coreografia. Ha deciso di dedicarsi anche alla creazione? Non ancora. Mi intimorisce molto creare un balletto per altri, per una compagnia. Creare su di me invece è diverso. Ho già fatto qualcosa in questo senso e a Roma si vedrà. Tra l’altro, e questo mi onora tantissimo, per questo mio pezzo Roberto Capucciha disegnato il costume che indosserò. Ed è la prima volta che questo grande stilista crea per la danza.

Una domanda più personale: ha avuto dei momenti di difficoltà nella sua carriera perché di solito si parla sempre del successo del ballerino… Credo che un ballerino debba poter raccontare storie, e per farlo è anche importante riportare, per esprimerlo, ciò che vive sulla propria pelle, le storie dolorose così come quelle gioiose. Per cui cerco sempre nei momenti negativi, di debolezza, di difficoltà o di tristezza, di canalizzare tutto questo attraverso la danza e fare in modo che essa sia quella cosa che mi depura l'anima. Tutte le esperienze poi aiutano a esprimere più cose sul palcoscenico. Un momento particolarmente difficile, per esempio, è stato l’abbandono del Balletto nazionale spagnolo che è stato, come dicevo prima, la mia casa. Sentivo che lasciavo dietro di me una parte della mia vita. Ho capito però che tutte le esperienze sono un capitolo del libro della vita, e questo deve dare la forza per poter andare avanti. Confesso che, adesso, l’aver iniziato un cammino nuovo, difficile e con tante incognite, mi fa paura. Non mi vergogno di ammettere di avere paura, anche se questa, lo so, mi farà crescere ed evolvere. 

Si può avere paura anche del successo? Eh sì, un po' sì. L’ho avuta specialmente all'inizio. Credo comunque che la paura sia una cosa positiva, deve essere qualcosa che ti spinge ad andare avanti.

A proposito del successo: come vive la notorietà, che porta a essere sempre esposto agli occhi degli altri? Personalmente non m’importa di essere famoso o stare in mostra. Quello che più mi preoccupa invece è mantenermi a un livello alto di qualità nel mio mestiere, riuscire a evolvere, a crescere. A volte temo di non essere capace di riuscire in qualcosa di nuovo. Un ballerino su un palcoscenico è sempre esposto agli occhi e al gusto dello spettatore, alla critica, al fatto che a qualcuno può piacere quello che fai e a qualcuno no. Questo è normale. Ma quando fai qualcosa che veramente ti piace, quando metti tutta la tua anima, e lasci il tuo spirito sul palcoscenico, questa è l'unica cosa che conta. L’artista deve essere un ponte, un tramite per far passare qualcosa. Il ballerino è una parte, fondamentale sì, ma non la principale di uno spettacolo. L’importante è tutto il progetto in cui sei dentro.

Quali sono i progetti, gli appuntamenti dei prossimi mesi? Farò diversi gala in Francia e in Italia. Vorrei viaggiare a New York e a Londra per conoscere altri stili di danza e prepararmi al meglio, lavorando sodo, per il progetto su Saint Laurent.

E qualche progetto cinematografico come attore? Finora non è successo, ma mi piacerebbe tantissimo. Per esempio in Spagna con Almodóvar o con Netflix…

Oltre a ballare uno dei suoi acclamati zapateado, sempre al Gala romano di Daniele Cipriani la vedremo in coppia con Miriam Mendoza, in una nuova coreografia dal titolo L’ultimo incontrofirmato da Ricardo Cue sulle note di Hable con ella di Alberto Iglesias, tratte dalla colonna sonora dell’omonimo film di Pedro Almodóvar. Di cosa si tratta? Parladi due amanti, che ricordano Fred Astaire e Ginger Rogers, che danzano insieme un’ultima volta prima di lasciarsi per sempre. L’idea è di Ricardo al quale è sempre piaciuta quell'epoca cinematografica americana. Anche per il suo balletto Il cappello a tre puntesi è ispirato moltissimo a loro. Qui si è rifatto alla scena dell'ultimo incontro. Tutti abbiamo una cosa in comune nella vita: nascere e morire. Per cui c’è sempre anche un ultimo incontro con ciò che ci è caro. La storia si svolge in una notte di festa in cui si danza. Ci sono una donna e un uomo vestiti eleganti. Lui le dice addio e che tra loro è finita. È un momento molto difficile e delicato. La coreografia si svolge in situazione gioiosa, dove va tutto bene, ma dove subentra un'atmosfera drammatica. Questa scena parla di una situazione molto comune a tutti noi, per esempio quando finisce una storia d'amore, un’amicizia, un rapporto, un lavoro.

L’accoglienza che, non solo a lei ma a tutti gli interpreti del Gala, riserva il pubblico italiano, è quasi da stadio… Essere a Roma è un’emozione indescrivibile. Il pubblico è fantastico. Quello italiano e quello spagnolo sono molto simili, siamo più caldi rispetto ad altri Paesi. Anche il tifo da stadio è importante e il fatto che il pubblico senta una passione di questo tipo anche per la danza è qualcosa di esaltante. Quando si è dietro le quinte aspettando di entrare in scena, e si sente  tutto questo entusiasmo, non ci si può non emozionare dicendo: “Vado anch’io nell’arena”.

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