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Ricordando Balanchine a trent’anni esatti dalla morte

Il fantasma di Lidia Ivanova nei suoi balletti

Di Sergio Trombetta 30/04/2013
Ricordando Balanchine a trent’anni esatti dalla morte
Ricordando Balanchine a trent’anni esatti dalla morte
Negli anni roventi della Rivoluzione sovietica, quando tutti i sogni artistici sembravano potersi realizzare e tutte le avanguardie avevano diritto di parola, nella Pietroburgo che usciva dalla guerra civile il giovane danzatore dell’ex teatro Mariinskij alla guida di una piccola compagnia, il “Molodoj Balet”, (il giovane balletto), sperimentava insieme a un gruppo di entusiasti. Fra questi la giovanissima Lidia Ivanova, la sua musa di allora. Una musa perduta . “Balanchine & the Lost Muse: Revolution & the Making of a Choreographer” è infatti il titolo del volume in uscita dalla Oxford University Press scritto dalla studiosa americana Elizabeth Kendall. Il volume della Kendall rivela un rapporto artistico strettissimo fra Balanchine e Ivanova nei furori d’avanguardia della Russia post rivoluzionaria. In quegli anni Balanchine con il “Molodoj Balet”, fondato insieme dalle nuove forze della danza pietrogradese (oltre a Lidja Ivanova, Olga Mungalova, Pëtr Gusev, Aleksandra Danilova) si poneva all’avanguardia. “La Marcia Funebre” di Chopin, “Valse Triste” di Grieg, “Notte” di Rubinstein, e altri titoli in cui le danzatrici conservano le scarpette a punta, ma per la prima volta abbandonano il tutù a favore di semplici tuniche, uno sviluppato gusto per l’acrobatico: tutti questi elementi portavano il “Molodoj Balet” ad essere considerata una delle compagnie più sperimentali di Pietrogrado”. Ma nel giugno del 1924 tutto finisce per Lidia, mentre per Balanchine incomincia una nuova vita. Il 18 giugno del 1924 a Pietrogrado, l'edizione del mattino del quotidiano “Krasnaja Gazeta” sotto il titolo “Morte di una ballerina” annuncia: “Lunedì 16 giugno, verso le 17 una barca a motore appartenente al secondo collettivo di lavoratori ha avuto un incidente. […] I passeggeri che si erano imbarcati al ponte Annichkov stavano scendendo il fiume quando si sono resi conto che il motore si stava surriscaldando. Hanno incominciato a tentare di raffreddarlo e occupati in questo tentativo non si sono resi conto che la nave passeggeri Ciajka diretta a Kronshtadt, stava avanzando verso di loro. La nave è venuta a collisione con la barca e tutti i passeggeri sono stati gettati in acqua. Un rimorchiatore della Linea Baltica di Stato di Navi a Vapore è giunta sulla scena dell'incidente ed è riuscita a salvare tre passeggeri. Ma L'ingegnere Klement e la danzatrice Lidia Ivanova sono stati dispersi. I corpi delle vittime non sono ancora stati trovati”. Incidente come sostenevano le fonti ufficiali o delitto? Pochissimi giorni dopo, George Balanchine con Tamara Geva, Alexandra Danilova e Nicolaj Efimov lasciavano la Russia sovietica e partivano per l’Occidente con un visto temporaneo. Nel gruppo avrebbe dovuto esserci anche la Ivanova. Che era un mito nascente della danza. Era venerata non solo da critici, ma da molti poeti, scrittori e attori. Fra i suoi amici ed ammiratori lo scrittore Michail Zoshenko e poeti allora famosi come Michail Kuzmin e Nikolaj Aseev. Per tutti costoro Ivanova non impersonava tanto la grandeur del passato balletto imperiale quanto il presagio del futuro della danza classica in Russia e la nascita di un nuovo stile”. Amata, benché non avesse ancora affrontato ruoli da ètoile, Lidia era al centro della vita intellettuale e mondana della città, spesso invitata a feste e incontri, compresi quelli della Ghepeù, la polizia segreta. Ed è in quegli incontri che venne probabilmente a conoscenza di cose che una giovane émigrée non doveva sapere. Chiedendo un visto temporaneo per una tournée in Occidente (ma tutti sapevano che questi visti preludevano all’abbandono definitivo della Russia), Lidochka, come era chiamata, firmava la sua condanna a morte. Quella Musa perduta, quel fantasma, avrebbe tormentato a lungo Balanchine. Sarebbe ritornato in almeno due altri due suoi balletti. Nella sua versione di “La Valse” di Ravel del 1951 una donna danza sino a cade priva di vita con un gentiluomo in nero che si rivela essere la morte. Ancora più evidente in “Le Bal” del 1928, su musica di Rieti e scene costumi di De Chirico, dove una donna mascherata , accompagnata da un astrologo, mostra sotto la maschera i segni della morte.

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