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Aida Vainieri, l’eredità di Pina e il nuovo corso del Tanztheater Wuppertal con Charmatz

Di Maria Luisa Buzzi 22/08/2023
Aida Vainieri, l’eredità di Pina e il nuovo corso del Tanztheater Wuppertal con Charmatz
Aida Vaineri a Episcopia con gli allievi del Pollino Danza Festival (Angelo Chiacchio)

Da trentadue anni è un punto di riferimento del Tanztheater Wuppertal. Cresciuta artisticamente con Pina Bausch e nei suoi lavori, dal 1991 è stata protagonista di molti Stücke e di reinterpretazioni del repertorio più celebre della grande coreografa tedesca. A partire dal capolavoro Café Müller dove Aida Vainieri ha preso il ruolo che fu in origine di un’altra icona della compagnia, Malou Airaudo. Fra poche settimane la vedremo debuttare in Liberté Cathédrale, il primo lavoro di Boris Charmatz creato da direttore a Wuppertal in cui confluiscono alcuni danzatori della storica compagnia di Bausch insieme ad altri provenienti dalla compagnia francese di Charmatz Terrain. Debutto previsto l’8 settembre alla Mariendom, la chiesa Brutalista di Wuppertal, e poi date alla Biennale di Lione (22-24 settembre),  all’Opéra di Lille (14-19 ottobre) e ad aprile 2024 allo Chatelet di Parigi. Danzatrice ammaliante, donna determinata e pedagoga dolcissima, Aida Vainieri oltre a esplorare in prima persona la coreografia si dedica con grande passione all’insegnamento. L’abbiamo incontrata in Basilicata, a Episcopia, nell’ambito del Pollino Danza Festival dove immersa nella natura e nelle acque del Sinni ha condotto i suoi seminari di composizione e improvvisazione.

Vainieri, che legami ha mantenuto negli anni con la sua natìa Basilicata? Purtroppo pochissimi perché sono ritornata raramente e mi fa un immenso piacere essere qui ora. Penso che l’invito di Loredana Calabrese (direttrice di Pollino Danza Festival) sia nato proprio dal fatto che sono lucana. Io sono nata a Potenza ma avevo appena cinque anni quando la mia famiglia si è trasferita al nord. Poi la danza mi ha portato a Essen e a Wuppertal. Trovarmi a Episcopia ora mi emoziona moltissimo perché mio padre è nato proprio a pochi chilometri da qui, a Chiaromonte. Qualcosa di profondo, di forte mi pervade.

Pina Bausch è mancata ormai da quasi quindici anni, ma ancora si percepisce il disorientamento della perdita con l'ennesimo nuovo corso della sua compagnia tutto da ripensare. Lei ha scelto di rimanere in compagnia, cosa la tiene a Wuppertal?
Sì sono ancora lì, nella speranza di vedere crescere quello che potrà scaturire da questo nuovo indirizzo che è stato preso con Boris Charmatz. Tra i tanti insegnamenti preziosi di Pina, c’è il non fermarsi mai, accettare che le cose cambino, evolvano. C’è bisogno di cose nuove, di stimoli e lei ce lo ha ricordato in ogni creazioni in cui in prima persona si metteva in gioco. Non l’ho mai vista adagiarsi e noi di conseguenza.

Oltre all’eredità artistica, come donna cosa le ha trasmesso Pina Bausch?
Tantissime cose, compresa la possibilità di osservare ora ciò che lei ha dato a noi. Mi ha insegnato a essere curiosa, a scoprire cose nuove, a mettermi in discussione, a non mollare mai. La disciplina innanzitutto, di cui era un modello insuperabile. Credo che Pina amasse molte le donne, le rispettasse più di ogni cosa, ma non aveva alcun atteggiamento protettivo: era attenta sì, ma talmente fiduciosa dei suoi insegnamenti da lasciarti camminare con le tue gambe. Sono stata al suo fianco per vent’anni e non mi sono mia annoiata. Curiosità, dedizione e passione: solo così il viaggio da fare diviene infinito.

Lei è tra i 34 interpreti del nuovo “Liberté Cathédrale” di Boris Charmatz: lo ha scelto lei di partecipare o è stata scelta? Di cosa parla la creazione?Siamo ancora in fase creativa, e non credo di riuscire a trasferire a parole quello che sta succedendo. Mi piace sottolineare quanto sia interessante che Boris abbia aperto uno spazio in cui integrare il Tanztheatrer Wuppertal con la sua compagnia includendo anche danzatori di età molto diverse, me ad esempio, ma anche Barbara Kaufmann, Julie Anne Stanzak, Michael Strecker. E trovo anche miracoloso il fatto che, alla mia età, riesca ancora a muovermi in questo suo pezzo con le abilità da lui richieste.

C’è margine per l’improvvisazione nel pezzo?
Prevede una parte coreografata e altre più libere. Al momento, ma non è detto rimanga così, esistono cinque blocchi fissati e altri con delle ‘chiavi’ da rispettare e da cui partire per intraprendere percorsi. Boris pretende un’improvvisazione chiara e di qualità; lo conosco ancora poco, lo sto scoprendo ora, ma apprezzo molto il suo interesse per il mix di esperienze e la ricerca di precisione e qualità.

Non tutti i danzatori della compagnia sono in “Liberté Cathédrale”, perché lei? Se lo è chiesta? 
Sono arrivata quando Boris aveva già iniziato il processo. Gli ho chiesto: “vuoi che faccia questo pezzo? Lo chiedo perché non vedo i miei colleghi”. E lui mi ha risposto convinto di sì.

Come vede questo nuovo corso del Tanztheater Wuppertal?
È difficile tanto per noi, danzatori di Pina, che per lui. Ma credo ci sia un solo modo per capire se funzionerà o no: provare. Innegabile che le due compagnie siano realtà molto diverse.

Il repertorio di Bausch verrà mantenuto? 
Da direttore Charmatz ha la responsabilità di mantenere il repertorio di Bausch, bisognerà capire come lui si inserisce in questo processo che è invece a carico di assistenti individuati dai danzatori storici. Il lavoro di conservazione è solido, deve esserci la necessità di tenerlo in vita.

Boris Charmatz rimarrà l’unico coreografo dell’ensemble o sono previste aperture ad altri autori?
Glielo abbiamo chiesto, ci darà presto una risposta a riguardo. Il suo primo passo è stato portare spettacoli del suo repertorio già esistenti: una giusta introduzione per conoscerci meglio. Naturalmente è fantastico se vorrà continuare a creare con noi.

Che rapporto ha con il tempo che passa e con il corpo più maturo da portare in scena?
Con Pina era facile comprendere lo scorrere del tempo e i limiti del momento. Lei ci accompagnava a osservare consapevolmente ogni cosa, compreso il passare del tempo come individui e danzatori. Si sa, che prima o poi arriva il giorno in cui certi spettacoli non li puoi più danzare. Lei era bravissima ad osservare e a non spingere. Ora la responsabilità è tripla non essendoci più il suo occhio vigile. L’importante è essere consapevoli; io osservo l’età che passa come se fosse una performance, insieme ai miei colleghi. Il tempo è importante, e Pina questo ce lo ha sempre insegnato: cercare la trasformazione, trovare un’altra forma. E del resto i suoi amici più cari, tra questi Kazou Ohno, lo hanno dimostrato. L’esplorazione è senza fine.

Non ha mai pensato di lasciare il Tanztheater Wuppertal?
Sì certo, quando Pina è mancata ho riflettuto molto, ma ho deciso di rimanere e parallelamente coltivare altri progetti. A Venezia, dove vivo quando non sono a Wuppertal, sto pensando a uno spazio per la danza con Francesca Noia, per anni assistente in Germania di Sasha Waltz. Lì vorrei chiamare amici che possono portare la loro esperienza attraverso workshop, ma anche sviluppare altri progetti e magari realizzare un sogno che ho da molti anni: creare una mia compagnia.

C’è un lavoro di Pina Bausch che le è rimasto nel cuore più di ogni altro?
Non ho danzato tutto il suo repertorio, anche perché a partire da Danzon, a metà degli anni Novanta, Pina ha diviso la compagnia in due gruppi, dedicandosi ad anni alterni a ciascun gruppo. Questo scelta ci ha stimolati e riempiti di curiosità. Tra le creazioni a cui ho partecipato non riesco a fare una scelta, sono state tutte meravigliose; ogni volta qualcosa di nuovo! Le coreografie del viaggio poi nelle città del mondo mi hanno talmente arricchita…. Le sarò sempre riconoscente. Per quanto riguarda il repertorio preesistente al mio ingresso in compagnia, mi ha riempito di gioia interpretare Cafè Müller e anche Le Sacre du printemps.

Ha vista la versioneicon i danzatori africano del “Sacre”?
Sì, magnifica. Il nuovo, la visione di Pina.

Uno Stück che avrebbe voluto danzare e non c’è stata occasione?
Tutti quelli che non ho danzato! Una rivelazione la ebbi quando vidi la prima volta Macbeth. Ma non recrimino perché so che Pina non sbagliava mai nella scelta delle persone per i lavori: l’ho compreso tardi, con la maturità, però.

“Café Müller”, si ricorda l’ultima volta che lo ha danzato?
Impossibile dimenticare, un’emozione incredibile. Ho dato l’anima perché sapevo che sarebbe stata l’ultima volta. Era il 2013, ricordo le date di Napoli poi Taiwan con Dominique Mercy. Ho danzato questo pezzo più volte con Pina, Dominique, Nazareth Panadero, Michael Strecker, Ian Minarik che ancora ci aiutava…e che non posso credere non ci sia più. Una fortuna incredibile essere con loro e la mia gratitudine è immensa anche nei confronti dei miei colleghi. Lavorare oltre la tecnica, oltre la stanchezza per entrare nell’umano, nella relazione con gli altri: questo è l’universo di Pina.

 

 

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