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La Duse di Neumeier arriva alla Fenice di Venezia

Prima nazionale con Alessandra Ferri e Hamburg Ballet

Di Silvia Poletti 29/01/2020
La Duse di Neumeier arriva alla Fenice di Venezia
La Duse di Neumeier arriva alla Fenice di Venezia

AMBURGO Da tempo John Neumeier sta affrontando il tema del rapporto tra arte e vita. Da Nijinsky a Purgatorio, nei suoi ultimi lavori drammatici l'autore sembra girare intorno al mistero di quegli individui 'eletti' capaci di tradurre nell'universalità dell'arte i più piccoli sentimenti umani. Ad affascinarlo, evidentemente, è la loro dimensione esistenziale, il modo di filtrare la propria personale esperienza in qualcosa di assoluto. Sta emergendo così una sorta di caleidoscopico (auto)ritratto, visto attraverso la 'maschera' di diverse figure di artisti : ieri un danzatore o un musicista.

Oggi la Duse, attrice da cui  è partita la rivoluzione teatrale del Novecento, basata sulla verità del sentire: donna forte,combattiva e allo stesso tempo tenera e pietosa, dai molti incontri epocali (il mentore Arrigo Boito, il vampiresco amante Gabriele D'Annunzio; l'antitetica Sarah Bernhardt) e altrettante delicate relazioni private (quella con il diciannovenne Luciano Nicastro di cui fu madrina di guerra; quella struggente con Isadora Duncan orbata dei due figli). Una figura complessa nella cui ricerca espressiva e nel modo di sintetizzare gioie e dolori della vita il coreografo cerca di entrare in sintonia per  farci comprendere qualcosa in più forse anche di sé. Così il cinematografico affresco che segna la prima parte di Duse pindaricamente si dipana a ritroso dall'unica tardiva apparizione nel film Cenere agli esordi come Giulietta, fino alle consacrazioni in Margherita Gauthier (dopo aver visto in scena la Bernhardt) e soprattutto fonde gli incontri con gli uomini della vita con il teatro: così l'innocente Luciano simboleggia l'amor puro di Romeo e anche quello di Armand candido come le amate rose bianche; mentre D'Annunzio, egocentrico, sensuale, narcisista, diventa un Armand pomposo e retorico, infiammato come le rose che le dona, simile in questo alle visione della Bernhardt.

Sullo sfondo della grande guerra, che colora di rosso cupo e grigio scuro la scena, suggerendo un mood sempre melanconico (come sono melanconici gli occhi di Eleonora) la vicenda esistenziale turbina su belle pagine di Britten, mentre la lettura metateatrale si fa intrigante scoprendo come il coreografo non si periti di citarsi, arrivando per esempio ad utilizzare il proprio testo di 'Kameliendame': ma, e qui sta il bello, l'intonazione, la resa della coreografia, alcune semplificazioni e trasformazioni in linee, dinamiche, intenzioni ci danno una lettura psicologica, espressiva teatrale diversa. A queste incursioni nel proprio 'vissuto' artistico si affiancano momenti originali nei quali Neumeier enuclea la presenza di Eleonora, il senso della sua 'novità' e della sua essenza umana.

Svelti passaggi di mani sul volto, linee distillate -come nel magnifico solo di Giulietta su musiche di Part, dove il tratteggio è così essenziale da sembrare minimalista; o nella scena con Isadora in cui il velo che si muove con il movimento si trasforma in flutto che annega i bambini e poi manto di una Mater dolorosa. Sarebbe stato diverso senza Alessandra Ferri? Sicuramente. Sono fondanti qui l'intensità potente della sua presenza; i chiaroscuri che ora illuminano ora incupiscono il volto, trasformandola da adolescente a donna dolente e stanca; la sua danza -in punta, scalza, con i tacchi- e la luce abbagliante di lirica serenità nella seconda parte della serata (un quartetto astratto, luminoso e celeste,  con i quattro uomini della vita, che riprende una vecchia coreografia, Fratres -1994- e le ridona un senso di mistica bellezza).

Il lavoro, travolgente nella quantità di segni e stimoli, trova in lei fulcro drammatico ed espressivo, magneticamente concentrico e pronto, quando capita di disorientarci, a ricondurci al cuore del lavoro. I magnifici 'danzattori' amburghesi partecipano da par loro: l'appassionato Trush come Luciano, l'intenso Jung come paterno Boito; l' imperiosa Azzoni come Bernhardt. Ma due spiccano su tutti: Karen Azatyan come sensuale e egocentrico D'Annunzio e Helene Bouchet nel ruolo discreto e minimale dell’amica di Eleonora.

recensione pubblicata su Danza&Danza magazine n. 266 gennaio/febbraio 2016

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