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Coronavirus: quale impatto sulla danza?

Risponde Michele Di Stefano, coreografo e direttore artistico di Pianure

31/03/2020
Coronavirus: quale impatto sulla danza?
Coronavirus: quale impatto sulla danza?

Di Stefano, lo spettacolo/la cultura in un momento di gravissima crisi sanitaria come quello che stiamo vivendo diventa un settore di "secondo piano" per non dire 'superfluo'. È realmente così? 
Il teatro è dal vivo, è l’essere dal vivo che è in stallo. Il contesto lo impone, non ci sono turisti in città. L’impatto economico e umano dell’emergenza mina le strategie e le strutture che sostengono il nostro desiderio di essere dal vivo. La società sta cercando delle risposte specifiche, difficili perché organizzate su una variabile temporale imprevedibile. Stiamo facendo tutti le previsioni del tempo, e qualcos’altro emerge a tratti in questa sconcertante chiromanzia. Se dovesse emergere l’irreparabile allora le risposte saranno non specifiche, ma universali. Questo penso, con la massima dolcezza possibile non nego di star praticando una forzatura universale. Ma non è una questione di piani; per me la cultura non è mai stata né al primo né al secondo piano, piuttosto in terrazzo, affacciata sul mondo. E chi è che non vorrebbe un terrazzo di questi tempi?

L'arte della danza ha nella vicinanza dei corpi il suo centro: pensi che la paura del contatto potrà essere superata? in che modo? influirà sulle modalità future? Ricominceremo con gli assoli? Rimarremo nel virtuale?
Francamente penso che un atto creativo cerchi sempre di far intravedere un punto altrimenti invisibile della realtà che osserva, solitamente un punto collocato un po’ più in là. Nessuna arte può essere limitata dalle condizioni di partenza, se non si sposta da lì non ha ragion d’essere. Oggi ogni incontro casuale è amplificato, un po’ come succede a Venezia in qualche strettissima calle deserta quando all’improvviso all’orizzonte si profila qualcuno che viene in direzione opposta. Non necessariamente nuovi equilibri sensoriali producono paranoia; la danza sa il fatto suo su questo.

Nella tua attività, ci sono delle produzioni nuove che sono rimaste sospese, quali conseguenze?
Si, molti progetti sospesi, rimandati. Potrei dire che la cosa più difficile della sospensione è tenere a galla l’urgenza, la necessità, il desiderio che stanno alla base di ogni progetto. Ma al momento la vera questione per me riguarda piuttosto la modalità stessa del fare, che è assolutamente rivolta ad un gruppo di persone, legami indissolubili maturati nel fare, tutti sospesi. Mi piacerebbe poter cautelare queste persone da molte delle conseguenze, siamo un gruppo e lo sento molto; insomma un più potente affiorare dell’aspetto politico del fare è già una conseguenza significativa.

 

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